28 luglio1987

28 luglio 1987 – Alluvione della Valtellina.

 

L’Alluvione della Valtellina è una serie di disastri e di tragedie naturali che successero nell’estate del 1987 in Valtellina, nelle Provincia di Sondrio, e più precisamente nel comune di Valdisotto, provocando 53 morti, migliaia di sfollati, danni per circa 4000 miliardi di lire.640x360_C_2_video_423498_videoThumbnail

A metà luglio 1987, dalle latitudini artiche, una grande massa d’aria fredda scese verso l’arco alpino, sul quale si trovava una massa d’aria molto calda e umida. La pressione si abbassò bruscamente, ma le temperature rimasero elevate (lo zero termico fu registrato a 4000 metri). Dopo un periodo di forti piogge, che interessarono sis il fondovalle che i ghiacciai più alti, il 18 luglio alle 17.30, nel paese di Tartano, un’enorme massa d’acqua e fango si abbatté sul condominio La Quiete tranciandolo a metà. L’evento interessò anche la strada sottostante e l’albergo Gran Baita, dove persero la vita 11 turisti. Lo stesso giorno, il fiume Adda ruppe l’argine settentrionale poco a ovest di San Pietro di Berbenno, allagandolo e coinvolgendo anche Ardenno, Fusine, Selvetta e Cedasco. Il fatto causò l’interruzione dei collegamenti stradali e ferroviari con la parte orientale della Provincia di Sondrio, molte persone vennero sfollate dalle loro case. Nel capoluogo di Sondrio, il torrente Mallero fu sul punto di straripare, così come il torrente Bitto a Morbegno, mentre il fiume Adda straripò allagando tutto il fondo valle nella zona industriale tra i comuni di Talamona e Morbegno. Fu evacuato l’abitato di Torre di Santa Maria, dove il torrente Torreggio travolse parecchie abitazioni, e all’imbocco dell’alta Valtellina i paesi di Chiuro e Sondalo. Anche i collegamenti con la Svizzera furono interrotti: la dogana di Piattamala era difatti completamente inagibile.

Tra il 18 e il 28 luglio l’emergenza si era spostata dalla bassa all’alta Valtellina. A monte della strozzatura del ponte del Diavolo, fra le Prese, a sud, e Cepina, a nord, il versante montuoso diede alcuni segnali di cedimento: sull’alto versante montuoso della Val Pola, che si stende ai piedi del monte Zandila, si notarono delle fenditure. La maggiore era lunga circa 100 metri e larga una ventina. Il segnale era allarmante e, dopo un sopralluogo dei geologi, la zona venne dichiarata pericolosa e chiusa.

Alle 7.23 del 28 luglio una frana si staccò dal monte Zandila (nota anche, ma impropriamente, come frana del Pizzo Coppetto, una montagna di 3066 m. d’altezza). Quaranta milioni di metri cubi di materiale precipitano a valle ad una velocità di 400 km/h travolgendo e distruggendo completamente gli abitati di Sant’Antonio Morignone e Aquilone (frazioni di Vadisotto). Fortunatamente i paesi erano stati evacuati precedentemente e ciò salvò la maggior parte della popolazione; venne invece travolta dalla frana una squadra di sette operai che era giunta in paese per svolgere i lavori di ripristino della strada statale 38 dello Stelvio e alcuni abitanti della frazione di Aquilone, non evacuati perché ritenuti erroneamente fuori pericolo. Nessuno aveva previsto lo spostamento d’aria dovuto dalla frana che risalì per alcune centinaia di metri la sponda opposta della montagna e costò la vita a 35 persone.

L’emergenza per l’alta Valtellina non finì lì in quanto i detriti dell’enorme movimento franoso crearono uno sbarramento alto 50 metri e bloccarono il normale flusso del fiume Adda verso Tirano a sud. Si creò così un bacino naturale che incombeva su tutta la valle sottostante. Il livello della acque del lago salì mediamente di 2 cm all’ora; si ebbero 60 giorni di tempo per trovare una soluzione che evitasse la tracimazione o persino il crollo dell’argine.

Durante il mese di agosto gli esperti misero sotto controllo il lago drenando parte dell’acqua che si accumulava nell’invaso tramite gallerie di by-pass. Tuttavia a fine agosto le piogge ripresero con forte intensità, il livello delle acque del lago crebbe di 20 cm l’ora e la situazione divenne nuovamente grave. Si rese urgente un intervento sul corpo della frana per creare un nuovo alveo per il deflusso del fiume Adda e la tracimazione controllata del bacino. Vi furono aspre controversie tra chi giudicava la tracimazione controllata l’unica soluzione e chi paventava i possibili rischi di un ulteriore e peggiore disastro se il fronte della frana avesse ceduto. In questo frangente il ministro Remo Gaspari risolse la questione autorizzando, sotto la propria personale responsabilità politica, la tracimazione controllata delle acque del fiume Adda.

Alle 22 di sabato 29 agosto i geologi Maione, Presbitero e l’ingegnere geotecnico Pietro Lunardi (futuro ministro di uno dei governi Berlusconi) presero una decisione drastica: l’evacuazione di tutti i centri abitati nei pressi del corso dell’Adda, da Sondalo a Sondrio, prima di procedere alla tracimazione preventiva.

Il giorno seguente, domenica 30 agosto, si preparò il nuovo alveo, scavando una breccia sul fronte della frana e si cominciò far defluire l’acqua accumulata a valle al ritmo di 40 metri cubi al secondo. In seguito gli evacuati rientrarono nelle proprie case e nei giorni successivi il lago venne totalmente svuotato, mentre l’Adda si adattò al nuovo corso. Contemporaneamente a questi avvenimenti, la Regione Lombardia decise di agire anche sul piano del monitoraggio installando un sistema di 14 stazioni in grado di mantenere costantemente controllata l’evoluzione della situazione.

Dopo quasi due mesi l’emergenza si concluse.

Il 2 maggio 1990 il Parlamento Italiano emanò la legge n.102/90 (più nota come Legge Valtellina) in cui si prevede di destinare una somma di 2400 miliardi di lire nel sessennio 1989-1994 per il riassetto e il monitoraggio idro-geologico, la ricostruzione e lo sviluppo dei comuni della provincia di Sondrio e della adiacenti zone delle province di Bergamo, Como e Brescia.